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domenica 3 febbraio 2013

I No che aiutano a crescere...mamme e bambini!

Il piccolo A è un bambino biondo, con gli occhi marroni come la sua mamma. Ha il viso rotondo, le mani grandi e paffute, uno sguardo dolce. Un sorriso pieno e  una bocca piena di denti. Niente di strano, la sua mamma lo vede bellissimo. Il bambino più bello del mondo. E tante volte, lo ha scritto anche qui, il mondo con il piccolo A è diventato un mondo più interessante, caldo, gioioso, pieno. Ma è arrivato il tempo. Il piccolo A ha ormai superato i due anni. E' determinato, pensa che il mondo sia suo, vive secondo il principio del piacere "voglio-ora-subito-io!" ah dimentivato..."voglio-tutto! vedo solo bianco e nero, non mi piacciono le sfumature, i compromessi, aspettare".  E' un fiume in piena di desideri, bisogni, curiosità, scoperte. E noi genitori siamo il limite, il no, l'argine di tutto questo magma. Il limite che dà forma, il limite che contiene e accompagna, il limite che fa nascere e fortifica il suo io, che dà struttura alla casa, che pone le fondamenta. Bella la teoria. Ma in questa teoria sono contenute tutte le emozioni che una mamma e un papà vivono quando vivono questi ruoli, questi momenti. Come è successo l'altra sera alla mamma di A. Che finalmente rientrata a casa dopo una giornata di lavoro, compie le azioni rituali di fine giornata: macchina in garage, borsa a tracolla, borsa a tracolla del piccolo A, borsa della spesa (ecologica sull'orlo della rottura perchè molto fragile e molto piena), sgancia il seggiolino, piccolo A vuole spegnere la luce del garage, prendilo in braccio, chiudi basculante, prendi chiavi del portoncino, dove sono le chiavi, entra, che fatica sono sempre piena di roba, dai piccolo A saliamo che tra poco arriva papi e dobbiamo ancora fare la cena. "Mami braccio" (trad. "Mami prendimi in braccio che è tutto il pomeriggio che gioco e sono stanco".) Alla mamma di A viene un attimo di sconforto. Già cosi colma di roba si sente lo yeti. E già sta intuendo che arrivare alla porta di casa sarà un'impresa. Però si fa forza e con dolcezza risponde " No A, adesso sei grande, le scale le puoi farle da solo e guarda la mamma quante borse che ha!". Primo tentativo fallito...la mamma di A avrebbe sperato in un miracoloso "Certo madre, capisco la tua stanchezza, non preoccuparti adesso salgo di corsa e preparo io la cena". E invece, non curante della spiegazione, il piccolo A continua a protendere le sue braccia verso il collo della mamma, modulando la voce in una dolce supplica. Cosi piccolo e cosi astuto. Sarebbe più facile e veloce. Farsi coraggio, cogliere l'occasione per fare un po' di ginnastica, caricarsi il frugoletto e solcare le scale. Ma no. Qui si stanno giocando i fondamentali. Siamo all'inizio. Cedo ora, la prossima volta non sarò più credibile. E poi sono sicura. Le scale può farle da solo, ci sono anche le mie esigenze. Non mollo. "No piccolo A, dai che sei un ometto ormai, fammi vedere come sei bravo a scalare le montagne con quelle belle gambotte". La mamma di A punta sulla motivazione e valorizzazione dei talenti. Servirà a qualcosa aver letto libri al riguardo. Certo! serve a far si, che il piccolo A, capendo che con la tecnica occhioni dolci non ci sta cavando niente, sceglie la tecnica mulo. Imbronciato si siede sul gradino, con lo sguardo rivolto verso il basso. La mamma di A si sente un mix di cose dentro. La stanchezza si mischia al nervosismo, alla rabbia. Se le ascoltasse tutte, qui volerebbe un bello sculaccione e volerebbe la voce  scuotendo gli appartamenti dei vicini. E la rabbia si autoalimenterebbe della reazione del piccolo A che sicuramente risponderebbe rabbia con rabbia e pianti con urla. La mamma di A però si da tempo e non cede all'istinto. Prova con lo specchio, si siede a fianco del piccolo A, nella sua stessa posizione e prova a mettere in parola tutte le cose che stanno colorando l'aria intorno a loro. "Lo so piccolo A che sei arrabbiato e stanco, ma lo sono anche io! prima entriamo in casa e prima possiamo mangiare, giocare, fare i salti sul divano". Segue un lungo silenzio. Tosto il piccoletto, rimane immobile seduto vicino alla sua mamma. Sembra un braccio di ferro. "Eh no! adesso basta! E' ora di andare a casa, alzati in piedi!" La mamma di A con decisione gli prende la mano e lo tira su. Il cucciolotto inaspettatamente sorride e comincia a fare le scale come se niente fosse. A lui è già passata. La mamma invece, seguendo il suo istinto potrebbe predicare nervosa ancora per tutte le scale, fino al terzo piano. Ma poi che senso ha?. La mamma di A si guarda la "pancia" piena di "onde grigie" e le trasforma in sbuffi colorati. "Bravo il mio A, te l'ho detto che sei uno scalatore, dammi la mano e contiamo insieme i gradini...uno, due, tre...". Cosa ha smosso il piccolo A, la sua mamma ancora se lo sta chiedendo. Ma è contenta di non aver ceduto a una scena isterica che non avrebbe portato a nulla e di non aver ceduto agli occhioni supplicanti del piccolo A che stavano cercando una scorciatoia. Alla prossima sfida, ai prossimi no, ai prossimi capricci. Momento di crescita per entrambi, di scoperta dei propri limiti e delle proprie risorse, delle emozioni che ci devono guidare ma non sopraffare. Forza e coraggio!

2 commenti:

  1. Mia figlia ha 27 mesi, perciò hai tutta la mia comprensione :-)

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  2. Bello questo racconto, ne farò tesoro quando succederà anche a me, il mio piccolo ha 16 mesi, aspetto il momento al varco!

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