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domenica 28 settembre 2014

La spiritualità dei bambini

Il piccolo A con i suoi genitori, le cuginette Ga e Glo, gli zii e la nonna G,  ha trascorso un fine settimana in montagna.
Sono stati nel paesino di pietra che profuma di legna che da qualche tempo è diventato una bellissima boccata d'aria fresca  per la famiglia del piccolo A.
Tra giochi, funghi, camminate, cielo azzurro e terso, vette, scoiattoli,  silenzio, hanno anche passeggiato per le vie del paese  vicino, decisamente più glamour  rispetto a quello che amano loro.
E come spesso accade, quando camminando incontrano una chiesa, il piccolo A ci vuole entrare.
È una di quelle chiese di paese, una chiesa dal sapore "di una volta",  di quelle che portano con orgoglio anni di storia. Quelle chiese che sanno di incenso e arte sacra.
Tutti lo seguono volentieri, poi dentro ciascuno segue un suo sentiero, motivazioni diverse.
Il piccolo A si dirige spedito verso l'altare, vuole accendere una candela. La mamma e Ga gli vanno dietro , lo aiutano e poi tutti e tre si siedono al primo banco.
"Piccolo A che preghiera vuoi dire a Gesù?"
"Shhhhhhhh mamma! Silenzio!"
La mamma e Ga si guardano e cercano di non ridere. Non si aspettavano tutto questo fervore ma capiscono che A è serissimo e non vogliono offenderlo.
Il piccolo A chiude gli occhi e si fa il segno della croce. La mamma lo guarda con tanta tenerezza, che la fiducia in quello che sta facendo possa accompagnarlo per sempre.
"Mamma! Ga! Chiudete gli occhi"
Le rimprovera il piccolo A. Con il sorriso ubbidiscono e anche loro si fanno il segno della croce.
" Diciamo la preghiera che ho imparato all'asilo..."
Propone A.
"Ok!" Rispondono Ga e la mamma
"..... Mmmmm, non me la ricordo più"
Dice un po' deluso il piccolo A.
" Non importa A, Gesù vede nel tuo cuore e ha capito ugualmente ciò che gli volevi dirgli"
" Va bene mamma, ma devi chiudere gli occhi!"

A occhi chiuso è vero si ascolta meglio ciò che nasce o deve nascere da dentro.
A occhi chiusi si può dimenticare ciò che ci circonda per dare importanza a ciò che sentiamo.
A occhi chiusi siamo noi con noi stessi.
A occhi chiusi non si può mentire.
A occhi chiusi siamo noi, solo, con la nostra anima.

Anche oggi, grazie piccolo A!

mercoledì 24 settembre 2014

Il piccolo principe e la rosa

Lo sa che non può essere attraversato sempre e solo da "belle"emozioni, ma ogni volta che fanno capolino quelle più scure,grigie e blu la mamma di A si sente sempre presa un po' alla sprovvista.

"Mamma io sono triste"

La mamma sta guidando verso l'asilo nel traffico del mattino. Si volta veloce per guardare l'espressione del suo viso. Guarda malinconico fuori dal finestrino.

"Perché sei triste piccolo A? Che succede?"

"Perché io voglio te! Perché tu mi manchi!"

Lo dice anche proprio bene, non si possono fare tante interpretazioni. Il sentimento della mancanza di qualcuno, talmente chiaro.

"Anche tu mi manchi piccolo A, ma sei nel mio cuore quindi mi sei vicino! Anche io sono le tuo cuore!"

"Si lo so! Ma mi manchi..."


Si infatti, come controbattere?

Poi un'illuminazione..

"Piccolo A hai presente il piccolo principe e la volpe? "

"Si...il piccolo Cimpite"

"Ecco lui... Anche lui e la volpe sono tristi  quando devono lasciarsi ma sono felici di sapere che si vogliono un bene speciale e che quando si ritroveranno sarà bellissimo... Tu sei il principe e io la volpe"

Ride all'improvviso, divertito dalle parole della mamma.

"Ma tu non sei una volpe mamma! Tu sei la Rosa"

La mamma di A si sente felice, lusingata, sorpresa, innamorata.

"Grazie piccolo A! Mi piace essere la Rosa... Allora siamo come la Rosa e il piccolo Principe, tristi quando il principe parte per i suoi viaggi ma felici perché sappiamo che avrà fantastiche avventure. E poi quando il principe torna su B 612 è come quando vengo a prenderti all'asilo e ci abbracciamo forte"

"Si! ...ma la rosa non può abbracciare!"

"Come no, muove le sue foglioline verso il principe..."

"Ah, ok va bene..."

Il blù ha preso qualche raggio di giallo. O almeno il blu ha trovato il suo senso.

E poi dicono che le storie sono cose da bambini...

Quante cose possono accadere in una macchina mentre si va all'asilo.

lunedì 22 settembre 2014

I miei vent'anni

 
 
La mamma di A si è voltata, ha riconosciuto le loro figure.
Spontaneamente le è venuto il sorriso, si è alzata ed è andata verso di loro.
È andata verso i suoi vent'anni.
 
Facevano cosi. Durante la settimana ognuno era occupato con il suo lavoro o con i suoi libri. Poi il weekend lo passavano insieme. Dal venerdì sera alla domenica sera. Non si davano appuntamenti, ancora non c'erano i cellulari. Era chiaro e scontato che il venerdì sera si sarebbero incontrati li. E li erano. La mamma di A studiava psicologia all'università di Padova ma il weekend tornava sempre nella sua cittá. La sera si preparava, con un colpo di clacson le sue amiche la chiamavano e poi via verso il locale dove loro le stavano aspettando. I loro amici, conosciuti per caso al mare, diventati inseparabili compagni di avventure. Non pensate a chissà che cosa. Loro stavano semplicemente insieme e facevano cose insieme: andavano a ballare la sera, visitavano città le domeniche pomeriggio, facevano spaghettate a casa di qualcuno, improvvisavano biciclettate sulle colline della Valtenesi con le cicale a cantare, partivano nel cuore della notte se a qualcuno veniva in mente di andare a sciare, mangiavano castagne abbrustolite la domenica sera, andavano al cinema, passavano pomeriggi in piscina... ma soprattutto ridevano. Ridevano tanto. Giocavano tanto. Si godevano la loro gioventù, la loro amicizia e pensavano che sarebbero durate per sempre.
 
La mamma di A va loro incontro, le viene sempre più da sorridere vedendolo li, in cerchio a chiacchierare, proprio come tanti anni fa.
Per scherzo li urta  con la spalla "oh! Scusate"...E appena la riconoscono  la gioia è immediata, partono gli abbracci e l'emozione di riguardarsi negli occhi.
Parlano di figli, matrimoni, situazioni sentimentali...
E poi è urgente il desiderio di ricordare tutto quello che li ha accomunati. La magia delle atmosfere che ritornano quando le persone che hanno vissuto un'esperienza unica, bella, piena si ritrovano vicine. Sono passati vent'anni ed è cambiato tutto. Ma quello che respirano in quel momento è la stessa sensazione di allora. Fresca e intatta, perché il tempo non è vero che cancella tutto. Il tempo sa riporre le cose nei cassetti. I cassetti possono essere riaperti in qualunque momento. E quello che c'è dentro rimane  intatto e profuma di lavanda. Passano vent'anni e l'intimità è la stessa di allora. Vent'anni cosi lunghi ma cosi sottili.
E come in quelle serate la mamma di A perde la percezione del tempo e con essa il fatto che la stanno aspettando al tavolo da cui si è alzata. Gli aneddoti sono tanti. Finisce uno ne comincia un  altro e giù tutti a ridere.
"Mamma di A la tua risata è inconfondibile, non sei cambiata per niente!"
 
Invece è cambiata eccome, anche se, quel modo di sentire no. Quello è sempre uguale.  Quello non vuole perderlo mai. Quel modo che le fa sentire che gli attimi semplici e quotidiani sono speciali. Sono quelli che fanno poi la storia di ciascuno. Sono quelli che ti fanno sorridere di gusto mentre cammini verso qualcuno che non ti aspettavi di incontrare.
 
 
 

venerdì 19 settembre 2014

I bisogni di mio figlio


I bisogni dei nostri bambini nascono da dei sacrosanti diritti:
Il diritto di esistere, di sentire di esserci. Un bisogno soddisfatto dalla gioia con cui viene accolto il loro ingresso alla vita. Dagli abbracci e dal calore di sentirsi tenuti in braccio. Le braccia che avvolgono e contengono che permettono di dare forma e rassicurazione alle loro emozioni. Che fanno nascere la sensazione di esserci. Perché un neonato non sa di esserci ma lo sente grazie al contatto e alle cure con cui viene amato.

Il diritto di aver bisogno. Così tanto bistrattato questo diritto e nascosto sotto la parola vizio. "Non prenderlo in braccio che lo vizi", "Fallo piangere nel lettino altrimenti prende il vizio di volerti vicina tutte le sere". Ma i nostri figli hanno il diritto di aver bisogno di noi, di potersi fidare di noi perché noi ci prenderemo cura di loro. Così gli insegneremo a essere positivi e ottimisti verso la vita, perché i loro slanci spontanei sono stati accolti. In nome di non si sa quale pedagogia di strada che vuole bambini forti, indipendenti e sicuri già dai primi mesi si tradisce il loro bisogno di avere bisogno e ironia della sorte li facciamo crescere sfiduciati e tristi verso  il mondo. Quel mondo che non ha riconosciuto i primi  bisogni fondamentali.

Il diritto di imporsi. Il diritto di dire la propria, di manifestare  le proprie preferenze e il proprio disappunto per qualcosa che non piace, che li fa arrabbiare. Il diritto di individuarsi, di differenziarsi dall'adulto. Il diritto di dire "No!".
Più comodo e bello se "fanno i bravi" e sono sempre d'accordo con noi. Il resto sono solo capricci e comportamenti da reprimere.


Il diritto di essere autonomi, di camminare con le proprie gambe, di esplorare territori nuovi. Senza ansia, senza eccessive preoccupazioni, senza l'oppressione del controllo da parte dei grandi. Quale emozione incontrare lo sguardo fiero di papà e mamma che li osservano mentre corrono coraggiosamente verso il mondo. Sentire di scegliere in base ai propri bisogni profondi, al
proprio intimo  sè e non per compiacere gli altri. Sentirsi sostenuti e aiutati in questo e non scavalcati.
Il diritto di amare ed essere amati così come si è, spontaneamente, gratuitamente.

La mamma di A vede tutte queste istanze muoversi in A. Si impegna a riconoscerle e prova a dare il meglio di sè. Per prove ed errori, a volte confusa, incerta su cosa sia meglio fare, con tanti dubbi e tante domande.

Ma poi arriva il giorno in cui in A nascono dei  nuovi bisogni.
"Mamma mi compri Spiderman!!?"
"Mamma mi compri i pattini?"
"Mamma mi compri Buzz lightyear?"
Senza menzionare le richieste di giochi che la mamma non sa neppure cosa siano ma che la televisione sapientemente fa desiderate al piccolo A.

Ecco la mamma di A è sconcertata e comincia a confrontarsi con il senso di colpa. Il piccolo A sta diventando un piccolo consumatore. E quello che più le ha lasciato l'amaro in bocca è sentire in A l'entusiasmo del momento trasformarsi presto in desiderio di qualcosa di nuovo. L'oggetto consumato velocemente. L'emozione consumata velocemente. L'insoddisfazione che prende il posto della  "gioia" iniziale. E che lascia un vuoto che va colmato con qualcosa da AVERE.
Alla mamma di A dispiace immensamente essere responsabile di queste emozioni di plastica.

Dunque:
La tv si spegne in favore dei DVD Disney, senza pubblicità barbaramente martellante.
Più tempo per costruire insieme i giochi. Che l'emozione sia nel realizzarli, nello stare insieme, nell'ingegnarsi su come farli.
Che mamma e papà diano il buon esempio.
Rileggersi "Avere o essere" di Erich Fromm

La mamma di A ha bisogno di un confronto! Voi che ne pensate?