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domenica 17 gennaio 2016

Sentirsi mamma.

A voi non capita mai?
A voi non capita mai di stupirvi ancora nel rendervi conto che siete madri?

Alla mamma di A, si.
Sono momenti di lucidità completa. Cade la patina della quotidianità e della "normalità". Torna prepotente, protagonista assoluta, quella sensazione di essere nuova, pur rimanendo se stessa. Come quel giorno in cui le hanno portato il Piccolo A, quel giorno in cui lo ha visto, abbracciato, baciato, conosciuto per la prima volta.
 Un bambino.
 Ne aveva già visti tanti di bambini nella sua vita. Ma quello era il suo. E lei era la sua mamma.

Si é chiuso il sipario.
Si é riaperto il sipario.

 La storia prosegue ma lei ha in braccio un bambino e le battute sono tutte nuove e sconosciute. Improvvisazione e creatività, il suo ruolo di madre.

Poi succede che l'improvvisazione diviene consuetudine. Il ruolo si fortifica, prende sicurezza, si integra con gli altri ruoli. Accade la quotidianità.

Poi una sera, mentre la mamma sta cucinando con le mani e cantando con la testa la sua canzone preferita, si spalanca la porta della cucina.

"Mi dai un po' d'acqua, mamma, per piacere?"
"Certo piccolo A...."

Lui prende il suo bicchiere e zampetta di nuovo sul divano dove sta guardando "Spiderman" con il suo papà.

Sentirsi chiamare "Mamma" all'improvviso ha squarciato un velo.
La mamma di A lo guarda silenziosa mentre lui torna in salotto.
Questo piccolo essere umano biondo, con i capelli morbidi appena fonati  che vanno su e giù, il pigiamino pulito che sa di lavanda, è suo figlio. E ripone in lei tutta la fiducia del mondo.

Tenerezza. Responsabilità. Tenerezza. Consapevolezza di avere tra le mani possibilità di felicità o infelicitá di un altro essere umano. Consapevolezza che non ci si può abituare ad essere mamma,
che fa bene essere chiamata all'improvviso ogni tanto. Per girarsi, trovarsi davanti uno specchio che ti ricorda chi sei. Vedersi.

Sono la tua mamma piccolo A, e ne sono onorata.

domenica 10 gennaio 2016

Le emozioni difficili dei bambini

È finito il tempo del Natale e, come un orologio svizzero, il Piccolo A freme per la sua festa preferita: il Carnevale!
Di cosa mai vorrà vestirsi?
Avete qualche idea?
Nonostante abbiano uno zainetto colmo di abiti di supereroi, zainetto che li accompagna ovunque, il Piccolo A desidera ardentemente una maschera di Spiderman.

 "Quella che si infila mamma però, proprio come quella dell'Uomo Ragno. E che copre tutta la faccia però"

In effetti una maschera proprio così completa manca all'appello.

"Magari al supermercato c'é!"

Il piccolo A ha già capito i cicli produttivi e che i pandori hanno lasciato il posto ai coriandoli e alle stelle filanti.

Quindi, un pomeriggio di inizio gennaio, la mamma e il suo cucciolo vanno a fare la spesa trovando effettivamente già presente  la corsia del carnevale. Ma chissà per quale mistero, il vestito di Spiderman non c'è. O non é ancora stato esposto. Ma questo non cambia i fatti e la delusione immensa è incalcolabile sulla faccia del Piccolo A.

Cosa succede se desideriamo ardentemnte qualcosa, pensiamo sia a portata di mano e poi scopriamo all'improvviso che non è così? E che non possiamo fare assolutamente nulla? Come ci comportiamo davanti a unafrustrazione?

Se hai cinque anni e ami Spiderman ti senti deluso, arrabbiato, impotente, triste. Tutte queste
emozioni insieme. Ma non lo sai. Ti senti solo tremendamente agitato.


Se sei la mamma del cinquenne, invece ti ritrovi  a dover gestire uno dei malumori più grandi della storia. Soprattutto se anche tu sei in una giornata dove la pace e la serenità non sono state proprio di casa.

Se sei uno che sta facendo la spesa proprio in quel supermercato  e sei per caso spettatore della scena pensi a un bambino che fa i capricci e alla sua mamma che in modo maldestro cerca di fermarli.

Da quel momento partono due ore di continue incomprensioni tra A e la mamma, la quale passa dal dare spiegazioni su cosa voglia dire non poter avere tutto subito, all'alzare la voce, al silenzio polemico, al promettere castighi. E in cambio A mette musi, poi ricomincia con i capricci, poi piange...Un circolo  vizioso estenuante che nasce dall'agire senza ascoltare. Ascoltare cosa stia succedendo, quali emozioni ci siano in campo. E  mi riferisco alla mamma, il piccolo A ancora sta imparando. Sono i grandi che devono prendere in mano la responsabilità della relazione.

Poi arriva la sera, un po' a casaggio e per stanchezza le acque tornano chete. È il momento della lettura di un storia, delle preghiere, della ninna nanna e finalmente del sonno.

Sono nel letto uno vicino all'altra.

"Piccolo A finalmente ti sei tranquillizzato !"

Ed ecco la risposta. Chiara, competente. La risposta di chi sta imparando ad ascoltarsi.

"Mamma mi sentivo agitato ma non riuscivo a calmarmi. Adesso sono tornato di nuovo umano."

Le emozioni possono avere forza dirompente. Disumana. Possono essere più forti di noi. Se sono pura energia straripante.

Dargli un nome, un senso, un argine permette di sentirle, riconoscerle e viverle. Vivere le emozioni, non farci vivere da loro. Intelligenza emotiva.


La mamma di A rimane colpita dalle parole del suo bambino. L'hanno illuminata. Ora ha capito cosa è successo nel pomeriggio. Ora ha capito dove ha mancato. Si è fatta tirar dentro. Per stanchezza.

Ma adesso, in questo momento di intimità e silenzio, ripercorrono, come una storia, tutto quello che è successo. Spettatori degli attori che sono stati. I frammenti divengono parte di un racconto.

E si addormentano sereni.

Piccoli mattoncini di un bambino che sta imparando a conoscersi.
Piccoli mattoncini di una mamma che sta imparando a conoscere suo figlio.




venerdì 8 gennaio 2016

Il dolore dei figli

Quando una madre ha di fronte a sè una figlia,  che è madre a sua volta e ormai donna, ci sono codici affettivi del tutto diversi rispetto ai tempi dell'infanzia.

A quei tempi, quando sua figlia cadeva, inciampava, si tagliava, si sbucciava, lei accorreva e consolava con un bacio, una carezza, un cerotto, l'acqua, il disinfettante. Amore e azione. Verso un dolore considerato in realtà piccolo. Perchè i grandi sorridono del male dei piccoli. Non per scherno. È un sorriso di tenerezza che guarda un dolore che non spaventa, non fa paura, perché passerà, non lascerà cicatrici. Il tempo di un pianto e poi via di nuovo a giocare.

Quando una madre ha di fronte a sè sua figlia che porta nel cuore un peso di donna, vorrebbe ancora dare un bacio e una carezza per far passare tutto. Ma sa che non è così. Perché da donna sa quel dolore, lo sente, lo capisce. Lo rispetta. Ci si può specchiare in quel vuoto. È un vuoto che una mamma conosce avendo sentito la pienezza del grembo.

Non dice nulla, nessuna frase fatta o di circostanza. La guarda negli occhi per accertarsi di quanto sia profondo il blù di sua figlia. Uno sguardo attento, nascosto da uno sguardo quotidiano, veloce, apparentemente distratto. Le chiede un semplice "Allora?", andandole incontro e fingendo di continuare i lavori domestici. Perché  non fa più sorridere di tenerezza il male della sua bambina, non ha più risposte certe e sicure come quando si apriva il cassetto della farmacia per prendere i cerotti.
Paralizza, disorienta. Il dolore dei figli disorienta. Fa male.

Quando una figlia, ha  di fronte a sè una madre che cerca di nascondere la sua preoccupazione con gesti quotidiani, dicendole un semplice "Allora?", questa figlia prova una tenerezza immensa sapendo cosa ci sta dietro.  Ed è una tenerezza così grande che scalda come i baci e le carezze di quando era bambina. Una tenerezza che la fa sentire ancora così tanto amata. 

Con l'amore si guarisce. 

Con l'amore si torna su.

 Con l'amore si può dire "Grazie mamma, adesso posso tornare in cortile a giocare".







venerdì 1 gennaio 2016

La libreria degli amori perduti

Ci sono libri che sono familiari già dalla copertina.
In mezzo a migliaia di altri libri, ti sei voltato e lo hai visto.
Allora ti sei avvicinato, incuriosito dalla particolare sensazione di conosciuto pur sapendolo nuovo.
Lo hai preso in mano, con un sorriso accennato, scoprendo che anche le mani lo sapevano già.
La carta, i colori, la stampa, la consistenza, il profumo.

Bello, ti piace.

"Si, lo prendo", accogli l'invito. Tu hai scelto lui ma lui, anche, ha scelto te.

Il sorriso accennato si trasforma in sorriso sornione. Lo sapevi che sarebbe stata una lettura di preziosa emozione.

Le parole si susseguono,

conosciute, sconosciute,
prevedibili, sorprendenti,
leggere, importanti,
scanzonate, serissime,
sincere, fumose,
calde, fredde,
spavalde, esitanti,
silenziose, cangianti,
aperte, definitive,
tonde, aspre,
attese, improvvise,
timide, audaci

...

È uno di quei libri in cui tieni in mano una matita colorata per sottolineare le frasi che ti piacciono di più.
È uno di quei libri che hai voglia di leggere così tanto da rubare il tempo per poterlo aprire e nasconderti tra le sue pagine.
È uno di quei libri che sembra aver pescato alcune immagini direttamente dalla tua mente.

Poi ci sono le pagine bianche.

Si, capitoli bianchi improvvisi. Che pongono domande.
Se ne sarà accorto l'autore?
Sarà un errore di stampa?
Oppure è una strategia letteraria per tenere accesa l'attenzione del lettore, lasciarlo in sospeso, curioso e smarrito.
Forse, non sapeva proprio che scrivere....e allora hai preso i pennarelli colorati e hai disegnato quelle pagine bianche come le volevi tu. Improvvisando ghirigori, pensieri, piccoli racconti. Arricchendo il libro di te.
Anche se, quelle pagine bianche, non le capirai mai.
Cosa ci fanno lì in mezzo? Sul più bello?
Non lo hai ma visto un romanzo così.
E lasciano l'amaro in bocca, e rendono quel libro un po' sgualcito anche se
impreziosito da ogni volta che lo hai aperto e lo hai amato, consumandolo un po', spiegazzando gli angoli, divorando i racconti. Non è più nuovo, ma ha un sapore più buono.

Ma questo non salva la copertina, che aveva catturato il tuo sguardo. Giace infatti un po' ingiallita nella tua libreria. Sgualcita appunto, da una promessa mancata.
Da un'attesa  incompiuta.
Da una parola non detta su una pagina bianca.

Ci sono libri, che riponi nella tua grande libreria bianca...e a volte finiscono pure in seconda fila.
Poi ogni tanto ci passi davanti in modo distratto e "per caso" vi guardate, voi e quei libri. Ricordando emozioni e pensieri di pagine piene, ricordando emozioni e pensieri di pagine vuote. Malinconia, nostalgia.

Sentendo che, comunque, vale sempre la pena leggere una bella storia e che la vostra libreria è così preziosa grazie anche a quel libro.